2006/12/05

Mmakaunyane--la casa delle donne

Mmakaunyane
la casa delle donne

Gli strumenti utili alla cooperazione nel perseguimento dei propri obiettivi umanitari si stanno evolvendo e diversificando, come mostrano le esperienze maturate in giro per il mondo che rendono gli interventi maggiormente appropriati di fronte alle disuguaglianze, alla povertà o all’emergenza. In particolare una progettazione e una costruzione partecipata consentono di rendere l’iniziativa a sostegno delle donne africane pienamente rispondente alle specificità dell’ambiente tanto antropico quanto naturale. Per partecipazione si intende sia il recepimento delle indicazioni che possono modificare il progetto in relazione ad esigenze, eventi, imprevisti e quant’altro, sia l’adozione di tecniche che traggano ispirazione dalle risorse locali disponibili a cominciare dal lavoro di abitanti e volontari per comprendere poi i materiali e le lavorazioni. Anche le caratteristiche del luogo dove sorgerà la struttura vanno rispettate e valorizzate assumendo la qualità del contesto ambientale allo stesso tempo come vincolo e come obiettivo.

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Viceversa la consuetudine ad esportare le tecnologie preconfezionate dei paesi a maggiore tasso di industrializzazione intensifica il rapporto di dipendenza, quando non di sudditanza, delle popolazioni più povere. Gli elevati livelli di investimento e organizzazione, che contraddistinguono le attività produttive industriali, mal si adattano ad essere riprodotti nella sostanziale assenza di un mercato sufficiente a giustificare e compensare tali investimenti. Ma la forza dei modelli culturali dominanti è tale che le tecnologie dei paesi ricchi vengono riprodotte in modi approssimati, spesso insoddisfacenti in contesti produttivi disorganizzati. Queste stesse tecnologie generano poi forme di inquinamento più e meno gravi anche in presenza di livelli di consumo modesti (basta pensare alle difficoltà di smaltimento di buste, bottiglie ed altri involucri di plastica).

Di fronte alla iniziativa del MAIS, che nell’ambito del Progetto della Rete delle Donne Africane ha deciso di costruire una casa per le donne il LowLightLab (un gruppo di lavoro sulle tecnologie ibride costituito presso il DiS - Dipartimento di Strutture, Università Roma Tre) si è offerto di realizzare l’opera, adottando il metodo di lavoro sperimentato nei precedenti laboratori di auto-costruzione. Questi laboratori nascono da accordi tra università e/o istituti scolastici, che promuovono l’incontro di studenti, ricercatori e docenti in numero sufficiente a realizzare strutture a volte temporanee a volte permanenti, limitandosi ad utilizzare le poche risorse disponibili. A tal fine Roma Tre sta definendo un accordo quadro con l’università di Pretoria perché si possa collaborare insieme a questa nuova esperienza di autocostruzione. Ovviamente studenti e docenti si impegnano ad interagire e integrarsi con le donne destinatarie dell’iniziativa e, più in generale, con gli abitanti di Mmakaunyane.

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Il cantiere diventa momento di incontro, scambio e apprendimento. Incontro tra persone portatrici di saperi diversi chiamate a collaborare per il raggiungimento di un obiettivo comune. Scambio di conoscenze, e anche trasferimento di competenze, attraverso l’esempio e la pratica per superare distanze linguistiche, tradizioni culturali ed assetti organizzativi non omogenei. Apprendimento e verifica delle leggi naturali che regolano il comportamento dei materiali, la stabilità della struttura ed il comfort degli ambienti costruiti attraverso il fare concreto. Ed è auspicabile che questo insieme di saperi, competenze ed esperienze possa espandersi anche oltre la realizzazione dell’edificio in questione, diventando suggerimento e stimolo per nuovi impieghi produttivi di tecniche praticabili anche (e forse soprattutto) nei sobborghi di Pretoria.

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Il punto di partenza del percorso che porterà alla realizzazione ed al funzionamento della casa per le donne di questa parte dell’Africa prende le mosse dall’esperienza di auto-costruzione compiuta la scorsa estate a Mendoza dagli studenti italiani ed argentini, delle facoltà di architettura e ingegneria. Si tratta di una struttura integra tesa, particolarmente funzionale ad una progettazione e costruzione partecipata e rispettosa dell’ambiente naturale, perché: utilizza poco materiale pur garantendo elevati livelli di resistenza e capacità; tende ad auto organizzarsi nella ricerca di un proprio equilibrio e di una propria coesione, ammortizzando eventuali imprecisioni di esecuzione; si basa su lavorazioni semplici e su utensili altrettanto semplici che lasciano all’assemblaggio finale dei pezzi il compito di dare forma e coerenza al tutto. La chiusura o il completamento dello scheletro sono ottenuti articolando pareti, copertura e pavimento in una serie di strati attraverso i quali si regolano la trasparenza, la ventilazione, l’irraggiamento, la coibentazione e, più in generale, il comfort del costruito in relazione alle condizioni climatiche. Questa concezione a strati dell’involucro permette di utilizzare materiali anche umili o riciclati, dai cartoni al tessuto, dall’argilla al vetro o al metallo, che nel loro insieme rispondono a tutte le esigenze dell’abitare, migliorando le prestazioni del manufatto e facilitando, nello stesso tempo, l’eventuale adeguamento dell’edificio da parte delle stesse donne africane al modificarsi delle modalità d’uso nel corso del tempo.

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2 commenti:

Unknown ha detto...

Bel lavoro, complimenti!

Anonimo ha detto...

complimenti bel lavoro